Telelavoro e smart working: le differenze
Molto spesso si tende a confondere e a sovrapporre il concetto di telelavoro con quello di smart working – quest’ultimo traducibile come “lavoro agile” – come se fossero sinonimi. In realtà, si tratta di due tipologie di lavoro che, sebbene si basino su strumenti tecnologici e di comunicazione simili, si differenziano molto l’una dall’altra.
Queste due modalità di approcciarsi al lavoro differiscono sia dal punto di vista del significato che nella normativa che regola i rapporti tra azienda e dipendenti che lavorano da casa.
Le origini del lavoro a distanza
Negli ultimi decenni la digital transformation e la connettività degli strumenti di comunicazione ha trasformato il lavoro da casa in un vero e proprio trend, sempre più diffuso in tutto il mondo.
La possibilità di far lavorare i dipendenti da casa, però, affonda le radici negli anni ‘70 quando furono distribuiti sul mercato i primi personal computer portatili che cominciarono ad introdurre l’ipotesi di far svolgere alcune mansioni lavorative, non più in ufficio, ma direttamente dalla propria abitazione. Si comincia a fare strada, soprattutto nel mondo anglosassone, il concetto di telecommuting ovvero di far spostare i dati e non le persone.
Dalla fine del secolo scorso ad oggi, la questione del lavoro a distanza si è evoluta e sviluppata notevolmente, tanto che, in Italia nel 2019, la percentuale di grandi imprese che ha avviato progetti di smart working è ben del 58% e i cosiddetti smart worker sono ormai 570mila con una crescita del 20% rispetto all’anno precedente.
Differenza tra telelavoro e smart working
Il telelavoro, come suggerisce la parola stessa, fa riferimento ad un lavoro che si svolge a distanza rispetto alla sede principale e sottoposto ad una serie di norme ben precise. Il datore di lavoro, ad esempio, deve eseguire ciclicamente delle ispezioni per assicurare la regolarità di svolgimento del lavoro e le condizioni di sicurezza. Inoltre, è obbligatorio il riposo per 11 ore consecutive ogni 24 ore con astensione dal lavoro da mezzanotte alle 5.
Si tratta, dunque, di una tipologia di lavoro che non prevede la presenza fisica del lavoratore in ufficio o in azienda e che si basa sull’uso di strumenti informatici e telematici. Questa modalità di lavoro si fonda su due elementi fondamentali:
- Lo svolgimento della prestazione lavorativa in un luogo diverso dalla sede aziendale secondo il principio del cosiddetto “decentramento produttivo”;
- L’utilizzo di tecnologie dell’informazione e della comunicazione per compiere le proprie mansioni e per il collegamento tra dipendente e datore di lavoro.
Quando si parla di smart working, invece, si fa riferimento ad una modalità lavorativa di rapporto di lavoro subordinato in cui c’è assenza di vincoli a livello sia di orario e che di spazio. Viene chiamato lavoro “smart” perché ha l’obiettivo di aumentare la produttività attraverso un miglioramento del work-life balance ovvero l’equilibrio tra vita lavorativa e vita privata. I cardini su cui si fonda il lavoro agile sono, quindi, la flessibilità organizzativa, l’utilizzo di strumenti che permettono di lavorare da remoto quali pc, tablet e smartphone e la scelta di dove e quando lavorare. Gli spazi di coworking, ad esempio, sono una scelta sempre più diffusa tra gli smart worker: UPTOWN Milano, il primo smart district italiano, offre ai suoi residenti aree di coworking coperte da Wi-Fi Vodafone ad alta velocità con la presenza di bagno e cucina per un lavoro agile a 360°.
La differenza tra telelavoro e smart working, dunque, è che il primo si basa sull’idea che il dipendente abbia una postazione fissa, diversa da quella aziendale, dove vengono trasferite le stesse responsabilità e mansioni svolte nel posto di lavoro principale. Lo smart working, invece, prevede una revisione dei rapporti tra azienda e dipendente in un’ottica smart, secondo la quale il lavoro viene svincolato da sede e orari e si caratterizza per flessibilità e autonomia organizzativa.
Telelavoro e smart working: la normativa 2020
Nell’ambito delle misure adottate dal governo per il contenimento e la gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19, il 1° marzo 2020 il governo italiano ha emanato un nuovo Decreto riguardante lo smart working che riprende la definizione data dalla Legge n.81/2017 che disciplina il lavoro agile, fornendo la basi legali per la sua applicazione.
Quest’ultima definisce lo smart working come “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato (…) senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell’attività lavorativa. La prestazione lavorativa viene eseguita, in parte all’interno di locali aziendali e in parte all’esterno senza una postazione fissa.”
Per quanto riguarda il telelavoro, la regolamentazione si differenzia tra settore pubblico e quello privato. Le legge n. 191 del 1998 prevede che le amministrazioni pubbliche possano fare uso di forme di lavoro a distanza inteso come lavoro svolgo al di fuori della sede aziendale, ma funzionalmente e strutturalmente collegato ad essa grazie all’utilizzo di strumenti informatici e di comunicazione. Nel settore privato, invece, non esiste una normativa che disciplina il telelavoro, anche se viene incentivato per gli effetti positivi a livello della produttività nonché dell’ambiente per la riduzione delle emissioni di CO2 data da una riduzione del traffico cittadino.
In conclusione, il telelavoro prevede un “trasferimento” del posto di lavoro al di fuori della sede aziendale, sostanzialmente senza andare a modificare le dinamiche e i rapporti tra dipendente e datore di lavoro. Lo smart working, invece, oltre a consentire lo svolgimento delle mansioni lavorative da remoto, si fonda sulla piena autonomia del dipendente in termini di dove e quando lavorare nell’ottica di un bilanciamento tra vita lavorativa e vita privata.